Ebbene sì, due settimane fa ho sostenuto l’orale di un concorso.
Ho già un lavoro e le motivazioni per cui mi sono spinto a sostenerlo forse non saranno nobilissime. Vorrei sottrarmi da un noioso pendolarismo (anche se in parte mi ci sono affezionato),ma mettiamoci anche un po’ di voglia di cambiare, un po’ di ottima fama che ho sentito a riguardo di questo ente.
Più che altro ci ho provato. Il profilo cercato non è proprio pienamente nelle mie corde, mi è capitata una domanda di merda all’orale a partire dalla quale ho preso una medaglia d’oro olimpionica in mirror climbing – me so’ arrampicato sugli specchi che manco Reinhold Messner. Sono esperienze però che, anche se sembrano inutili, una loro utilità la rivelano.
Alla fine, c’è stato un lieto fine anche se abbastanza lieve. Un lieve lieto fine. Sono passato per il rotto della cuffia, fra un mare di bocciati e di assenti: d’altronde, alle spalle avevo qualche video e qualche tutorial visto sbuffando, perché dopo aver oltrepassato la soglia di una certa età tutto ciò che non mi piace faccio fatico a digerirlo, sia mentalmente sia proprio da un punto di vista gastrico. Se quello che leggo/guardo/ascolto mi interessa, non ho alcun problema; con ciò che non mi interessa, è un macello. Prima assimilavo molto di più concetti e alimenti; mo faccio fatica. Ma ho divagato.
Volevo più che altro soffermarmi sulla varia umanità che con me ha fatto questo concorso.
Quando ho detto che già lavoravo, mi hanno guardato come un alieno, a metà strada fra ma chi te lo fa fa’, e stai usurpando il posto nostro. Però poi, ad un certo punto, in colpa mi ci sono sentito. Molto spesso ci lamentiamo di dinamiche, carichi di lavoro e colleghi molesti, e anche a ragione. D’altronde, è sempre una questione di punti di vista e lamentarsi humanum est e pure liberatorio.
Basta però volgere lo sguardo dal nostro recinto egoriferito per vedere che ci sono delle situazioni veramente al limite.
C’è chi lavora nel turismo e per mesi vede solo le quattro mura della struttura in cui lavora, al perenne servizio di gente capricciosa dimenticandosi completamente di sé; persone che lavorano nell’IT che rischiano la galera per errori anche banali; mamme divorziate che tentano di emanciparsi da impieghi capestro; ragazze che passano giornate in magazzini ortofrutticoli a ritmi sostenuti; persone che cercano di riavvicinarsi a cari e familiari; gente stanca di paeselli di provincia in cerca di un posto al sole in città. Mi era quasi venuta voglia di andarmene e lasciar stare.
Il problema è che cambiare vita è impegnativo, gravoso, ci vuole non solo forza di volontà ma una certa forma mentis. Alcuni candidati, seppur sorretti da una grande motivazione di base, erano in evidente difficoltà perché se nel corso delle giornate si hanno altri pensieri, frustrazioni, tristezze e tante incombenze, un simile ostacolo non è facile da superare. Se una quarantenne passa le sue giornate a smistare articoli ortofrutticoli e a gestire la distribuzione all’ingrosso, è ben consapevole che non ha più una vita, ma al contempo non ha i mezzi, il tempo e l’abitudine mentale di mettersi a tavolino anche ad ore improbabili per studiare astruserie che molto probabilmente lo stesso lavoro reale nell’ente richiede solo in parte.
Quindi, come ci viene ossessivamente ripetuto, se vuoi puoi? Che mistificazione. Quantomeno non può essere assimilabile a una legge di natura.
Atterrisce parecchio pensare che certe vite e certi lavori diventino come delle gabbie. Però al contempo credo sia inutile colpevolizzarsi: secondo me è la vita che sceglie, certe volte, apparecchia le circostanze e le sbarre delle gabbie si costruiscono da sole intorno pezzo per pezzo, senza che venga previsto e addirittura a volte partendo da situazioni che sembravano ideali.
Alla fine, io questo concorso l’ho passato per culo – anche se molto probabilmente il mero passaggio non mi porterà comunque a nulla – e il fattore C è un potente fattore di sbriciolamento delle gabbie, in alcuni casi. Il fatto è che non tutti ce l’hanno, ‘sto culo: se tutti potessero averne una fettina, molte cose sarebbero sistemate. Mi rendo conto che è riduttivo appellarsi solo alla fortuna, ma resto altrettanto convinto che il se vuoi puoi è riduttivo allo stesso modo. Credo che debbano allinearsi gli astri perpendicolarmente al culo e alla volontà, sperando che la vita, sulla quale abbiamo un controllo molto relativo, vada nella direzione desiderata.
