PROFESSORE, RIFIUTO L’OFFERTA E VADO AVANTI

Ogni anno, a partire dalla seconda metà di giugno, si ripropone tutta quella scarsa tiritera, quel feticismo sull’esame di maturità, che è sintomatico – sempre partendo dalle mie personali impressioni, eh – del modo in cui vengono affrontati molti argomenti di questi tempi.

Vorrete perdonarmi se ripropongo questo tema, già trattato secondo una prospettiva mia personale in questo blogghino. Purtroppo non ritorna solo nei miei sogni, ma anche la realtà me lo pone davanti a cadenza regolare. Stavolta però vorrei parlarne da un’ottica differente.

Prima di tutto, in concomitanza con le date d’esame, ci dobbiamo generalmente sorbire tutta una rappresentazione al caramello dell’esame stesso, sempre secondo i dettami di questo storytelling leggero leggero abbastanza di merda che sta impestando l’informazione (e non solo): il ragazzo con la chitarra che strimpella e stonacchia Venditti, la ragazza disinvolta che dice di non poterne più e spera di chiuderla al più presto, la secchiona col vocabolario di latino che si esprime con una sequela di luoghi comuni, eccetera eccetera. I telegiornali si riempiono di servizi pieni zeppi di queste robe abbastanza inutili, in cui l’esame come conclusione del percorso di studi sembra un mero espediente tratto dall’episodio di una serie tv, un evento romanticizzato a uso e consumo dei diciannovenni in ansia per le prove. È anche giusto romanticizzarlo in parte, perché è per questi ragazzi un momento irripetibile, ma il taglio con cui se ne parla è da fiotti di latte alle ginocchia: prevale l’impressione spicciola gne gnegne gnegne. Su questa sequela di cacchiate giunge spesso pure il parere dell’esperto, che è costretto a pontificare sulle cazzatine.

Un altro genere a parte che si lega a tutto questo chiacchiericcio scemo sulla maturità è il famoso toto-tracce. Giorni e giorni a pensare a quale autore può comparire nelle tracce, per poi stupirsi dell’autore che effettivamente esce, stupore che deriva dal fatto che spesso e volentieri quest’autore è un contemporaneo o giù di lì che non si affronta in classe, visto che il secondo Novecento è generalmente un buco nero a cui non si arriva mai nei famigerati programmi (che comunque in teoria non esistono più). Quindi un ciarlare completamente alla pene di cane sul nulla, che però ha una rilevanza nazionale e riempie i titoli dei tg. A completamento di questo, si sparano a raffica tutta una serie di argomenti che sono risultati caldi nei mesi precedenti per quanto riguarda le ipotesi sulle altre tracce. Ad esempio, l’intelligenza artificiale, il nucleare, le fake news e robe similari. Solitamente qui ariparte il pippone dell’esperto che sociologizza un altro po’ e alla fine conclude con “in bocca al lupo, ragazzi!”, mentre i ragazzi si toccano i cosiddetti nella speranza di non dover parlare del nucleare (e nella speranza che il nucleare poi non si debba occupare di noi).

Insomma, aria alla bocca che però alla nostra informazione piace tantissimo, sempre con il sottofondo di Antonellone nostro. L’esame di maturità potrebbe essere l’occasione per parlare con serietà di varie questioni che riguardano la scuola, ma c’è sempre questo infotainment della minchia a rovinare tutto. Questo più che altro dice molto della nostra informazione, più che altro.

Insomma, il periodico blaterare sulla maturità è la quintessenza del nulla e ormai è paragonabile alla tiritera del bere tanto e non uscire nelle ore più calde. Quest’anno c’è una novità non da poco, però. Adesso abbiamo il trionfale ingresso di un nuovo genere: i ragazzi che si ribellano all’esame, a cui è stato diverso spazio in tivvù e specialmente dallo storico e blasonato Corrierone della Sera (anche detto Corriere dei Corrieri dal mai troppo celebrato Luca Giurato: Luca, ti penso sempre. Un omaggio anche fuori tema mi sembra doveroso).

Già qui bisognerebbe chiedersi il perché di tutto questo spazio, perché le istanze giovanili non sono proprio in cima alle preoccupazioni generali, ma proviamo ad andare avanti. Insomma, uno studente di liceo scientifico di Padova ha rifiutato di fare l’orale avendo già ottenuto il punteggio per la promozione in protesta con il meccanismo alienante dell’esame; lo ha imitato un’altra studentessa del Nord Est, di Belluno (ma che j’è preso nel Triveneto?).

Si è sviluppato tutto un dibattito che ora francamente non ho avuto modo di seguire nella sua interezza (non gliela posso fare per banali ragioni di tempo e di miei limiti personali), ma che ha visto alcune condanne (il ministro Valditara ha detto che questi comportamenti in futuro saranno puniti) e anche prese di posizione a favore dei ragazzi: ad esempio il pedagogista Novara, abbastanza famoso, si è mostrato benevolo di fronte alla protesta dei due ragazzi. Ma traspare in generale – anche negli articoli stessi che raccontano questi episodi – una sotterranea simpatia per questi gesti che vengono quasi presentati come sano ribellismo giovanile. Perché? Per reale interesse e sollecitudine?

Partendo dal presupposto che non vorrei qui parlare della correttezza o meno di queste prese di posizione, perché mi interessa capire la ragione profonda per cui questo dibattito ci è stato messo sotto al muso, in prima battuta due cose a me fanno abbastanza sorridere di quest’atteggiamento petaloso dimostrato dai giornali:

  • quest’improvvisa attenzione alle richieste giovanili, in una gerontocrazia come la nostra che da decenni se fotte allegramente delle stesse. Evidentemente alcune proteste piacciono e sono degne di attenzione e di diffusione, altre no (ma questo è un altro discorso);
  • quest’eterna comprensione ad oltranza che ormai sembra legge quando si parla di pretese scolastiche nei confronti degli studenti, e che questi articoli assecondano, inutile girarci intorno. In un mondo universitario e del lavoro che sono spesso spietati e iper-richiedenti, ormai sembra che fino ai 19 anni i ragazzi debbano essere sempre iper-protetti da qualunque tipo di meccanismo di valutazione e di prova.

Con questo, attenzione: non voglio perorare la causa della valutazione spietata o del disinteresse verso le richieste degli studenti, ma solo sottolineare il paradosso e la schizofrenia.

Sembrerebbe un modo come un altro per fare colore, moltiplicare i click e scatenare le mamme pancine-elicottero-leonesse a protezione dei figli (e in parte lo è), ma la questione è più profonda. Fra la trattazione della maturità come l’occasione di farsi una schitarrata in riva al mare e come teatro di ribellioni in fondo in fondo anche giuste, io non riesco a non vederci la mortificazione della prova in sé e alla spalle dell’istruzione in generale, di un certo modello di istruzione, di cui l’esame è parte integrante. La maturità in sé sicuramente non è intoccabile, magari va anche rivista, cambiata, cancellata: non entro nella questione adesso. Fa la differenza il tono, l’atteggiamento, fra il leggero, il colpevolizzante e lo sminuente con cui questi argomenti vengono sempre trattati. Il modo sottile e subdolo, che non è secondario. Il modo in cui si sfrutta una protesta e gli si dà ampio spazio – eccessivo, direi – per altri fini. La netta sensazione è che freghi una mazza della protesta in sé (non a caso ministro e associazione dei presidi si sono affrettati a reprimere il tutto immediatamente, per far capire), ma di usarla per altro.

Siccome non mi è mai parsa una cosa casuale e mi sembra una roba che si sta ripetendo molto spesso nel tempo, ed in generale quando si parla di scuola ed istruzione, vorrei a questo punto mettere sul tavolo altri punti di vista che provino a rinforzare queste ipotesi, che nella mia mente sono solo materiale grezzo. Ricevo e pubblico dei punti di vista sulla questione che mi sono arrivati e sono tratti da Facebook:

Questi articoli danno voce – con tono molto specialistico, va detto – ad un mio sentore che era solo vago ed impressionistico. Alla protesta dei ragazzi si darebbe spazio perché è funzionale ad altri concetti ed obiettivi ben più profondi. Dell’abolizione dell’esame di maturità e del valore legale del titolo di studio si parla da diverso tempo, a quanto pare. Non sono in grado di dare una risposta definitiva sulla questione, solo mettere in luce altri punti di vista che non mi sembrano abbiano spazio, per i quali attraverso le solite strategie false e manipolative ammantate di varie scuse petalose e finto-progressiste si vogliono raggiungere altri obiettivi. Scusate per l’abuso dell’aggettivo petaloso e derivati, oggi mi andava così.

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