MATURITÀ, IN REALTÀ TI HO PRESO PRIMA

Ogni due-tre mesi torno a sognare la maturità, come due terzi della popolazione mondiale.

Non ci sarebbe molto da dire, ma in realtà se vado ad auto-psicanalizzarmi qualcosa da dire mi verrebbe. Partiamo dal presupposto che non riesco mai pienamente a dire alla mia mente, mentre torna questo sogno ricorrente: “guarda che è inutile che ti preoccupi, stai sognando, il diploma l’hai preso da N anni!”. Sono pienamente immerso in quella realtà parallela e passata insieme, e regredisco a quell’epoca ormai trapassata.

Le trame di questi sogni sono all’incirca sempre le stesse:

  • devo prendere l’autobus, ci salgo con l’affanno ma non arrivo mai, e ripercorro le fermate – riprodotte fedelmente dalla mia testa – in cui a turno salivo, a seconda del mio essere in tempo o in ritardo. Se ero in tempo, salivo quasi al capolinea; se ero in ritardo, costringevo mio padre ad inseguire gli autobus alla maniera di un film d’azione, quasi derapando per raggiungerli. Spesso, però, mi capita di non arrivare, e penso seduto sul sedile: cazzo, il compito di matematica! Porca vacca, tra un mese c’è la maturitààà!;
  • mi sveglio nella mia stanzetta, sono in ritardissimo ma la prendo con calma perché nella mia testa sono ormai maggiorenne e posso autonomamente decidere di entrare una o due ore dopo. Quindi, molto lentamente arrivo a destinazione con la macchina, ovviamente sedendo sempre troppo attaccato al volante avendo difficoltà nel guidare o con un cambio troppo alto, e una volta in aula mi trovo con i miei compagni riuniti che sono preoccupati perché non abbiamo concluso il programma di matematica. Oppure sta per succedere qualche cataclisma scolastico e mi sento un coglione perché ho la sensazione di aver perso qualcosa di irreparabile con quelle due ore di ritardo;
  • arrivo a scuola ma l’aula è introvabile, mi aggiro in un labirinto di classi piene di persone che parlottano allegramente, io sono preoccupato perché penso al programma di matematica, alla terza prova, cazzo devo entrare in classe perché che minchia dico/scrivo/faccio alla maturità? C’è un’atmosfera generalmente molto allegra, tipica della spensieratezza adolescenziale, che cozza completamente con il mio peso interiore di arrivare impreparato;
  • mi riunisco in cerchio con i miei compagni di classe dell’epoca e ci chiediamo: ci è mancata la supplente di matematica per mesi, non abbiamo praticamente affrontato il programma di quinta, come la risolviamo? Scriviamo al Ministero della Pubblica Istruzione! (Ancora senza merito, prima evidentemente regnava il demerito);
  • sono all’orale di maturità e mi rassegno alla bocciatura. La capoccia s’ingegna al punto di farmi ricordare alcuni elementi della classe del quarto che era nell’aula accanto alla nostra! Allora penso: mi tocca tornare un anno indietro con questi…praticamente una regressione totale. Mi sono ricordato persino di quel noto caso del ragazzo bocciato in quinta, uno che era invece un anno avanti a me, che dopo essere stato steccato proprio sul traguardo ha mollato tutto ed è andato a fare il benzinaio. E allora farò il benzinaro anche io, penso. Mi sembra quasi di provare quello stesso senso di rivalsa contro la scuola che doveva aver colto anche il mai maturato benzinaro.

Il minimo comune denominatore di questi sogni praticamente fatti in serie è questo straminchia di programma di matematica, che a questo punto possiamo annoverare come una delle prove più difficili della vita.

Mi colpisce sempre anche la grande freddezza che provo nei confronti dei miei compagni. Parliamo del programma di matematica che non è stato fatto e del problema della maturità, ma non c’è mai quella condivisione, quello strano affetto quasi dolciastro di certi sogni strampalati, tipico di quando si rincontrano nei sogni delle persone che non si vedono da tempo. Non c’è una reale empatia, ma molta distanza. Se torno indietro con la memoria, nella mia classe non si può dire ci fosse una particolare disunione, ma neanche una particolare unione. Eravamo paradossalmente un gruppo non consolidatissimo, a causa di un precedente rimescolamento delle classi, dovuto all’introduzione di un nuovo indirizzo nel triennio. Anche nel rapporto fra di noi molte cose sono rimaste incompiute.

Nella realtà quella del quinto superiore fu un’annata molto strana. Nel flusso della mia vita la isolerei nettamente da un prima e da un dopo. Grandi ansie, domande sul futuro, ritmo serrato, infatuazioni, delusioni, e soprattutto un senso della fine, da rito di iniziazione senza appello, che velocizza ogni cosa. Devo studiare, mi devo sbrigare, devo capire che fare in futuro, devo andare a riacchiappare quella persona con cui mi sono freddato da tempo, voglio provare a conoscere meglio quell’altra che ho sempre trascurato o che non mi ha mai cagato. Arrivarono mille stimoli e sollecitazioni che io gestii male. Questo è un mio cruccio potente che non ho mai risolto del tutto: forse per questo ritornano questi sognacci che alla mattina mi lasciano l’amaro in bocca? La rincorsa all’esame è stata affannosa, e io se penso a quel periodo non ho capito nulla di quello che abbiamo fatto e che dovevamo fare, presi in un vortice, in un calderone informe. Alla fine, una maturità fatta male, senza consapevolezza, per ottenere alla fine il voto che mi meritavo, per tornare al punto di partenza, ad un finale che poteva essere scritto anche senza le prove d’esame. Ricordo che ripassavo il programma in quell’ultimo fatidico mese ma davvero non assimilavo niente, un incubo. Se ci si pensa, qualcosa di totalmente anti-formativo. Ma perché ancora mi incastro su queste riflessioni?

Partendo dal presupposto che a 18 anni capivo molto poco di me e del mio futuro…per forza di cose dopo la maturità è arrivata la mia vita da adulto o pseudo-tale, e la domanda che sorge spontanea rispetto al dopo è: ho fatto quello che avrei voluto fare, quello che ho sognato? Nì. La mia sensazione è che quello rappresenti un bivio fondamentale – anche se come canta Fiorella, la vita ci aspetta – e che ci determina, anche se poi si cambia strada. Io successivamente ho fatto una scelta che inizialmente aveva l’aria del ripiego e che poi ho sentito mia, moltissimo…ma non so se ho fatto quello che avrei voluto fare. Ho paura che la risposta sia: non molto. Tornando indietro all’origine di tutte le mie scelte, sempre questa mia mente mi confida che molto probabilmente non ho chiuso un cerchio o l’ho chiuso in maniera non perfetta.

Sono tanti gli aspetti che mi sembra siano rimasti incompiuti, e il senso di incompiutezza e di non finito ogni tanto torna a bussare alla porta della mia coscienza. Io stesso ero partito come una persona particolarmente incompiuta, non avendo vissuto quello che tutti avevano vissuto in un’adolescenza standard. Questi sogni forse mi dicono proprio questo: non hai chiuso un cerchio, e la mente chiede disperatamente una chiusura. Infatti, al risveglio rimane sempre una grande amarezza. Mi rendo conto che la maturità non devo più farla e che l’ho presa, ma un anfratto della mia mente è rimasta lì e non abbandona l’angoscia di questo non finito, questo incompiuto. Un angolo del mio cervello è rimasto ai miei 18 anni imperfetti.

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