CRESIME

Oggi come ho ampiamente annunciato sui miei social (momento di megalomania) sono andato ad una cresima. Siccome la filosofia del parebrutto (hashtag #parebrutto) domina buona parte delle nostre esistenze, sono andato lo stesso a quest’occasione familiar-mondana perché il ragazzino – figlio di miocuggino – è simpatico e adorabile; in realtà avevo voglia di andare a questa cresima un po’ come andare ad assistere alla riproduzione delle cavallette in un pianoro desertico.

Alla fine, è stata un’esperienza. Un’experience, come direbbe il nostro amato agente immobiliare meneghino.

Siamo andati in questa chiesa che era fredda come una cella frigorifera. Sulla sommità c’era un Velux (sempre per rimanere in tema con l’immobiliare) che lasciava entrare un fascio di luce di provenienza divina. Poi c’erano altri finestroni che creavano un gioco di luce abbastanza misticheggiante: solo che noi invitati avevamo sempre freddo, in particolare ai piedi.

Il figliolo di miocuggino aveva come madrina una donna, cioè la sorella, l’altra figlia di miocuggino. Ero rimasto ai padrini di cresima: evidentemente anche qui la lunga onda del me too ha provocato i suoi effetti e dunque, contro ogni sessismo, largo alle madrine! Questa sorella madrina si era messa dei tacchi che le martoriavano i piedi e soprattutto glieli scoprivano: se li è praticamente congelati e ci guardava sofferente mentre teneva la mano sulla spalla del cresimando.

Ovviamente era presente un coro, che nei canti della messa era aiutato da un pannello su cui erano proiettate le parole dei canti stessi! Praticamente il karaoke! Alcune delle mie parenti, che rappresentano un po’ quella fascia di popolazione italiana che dice le preghierine a letto, si professa cristiana ma non pratica, hanno subito approfittato del karaoke per cantare assieme al gioioso coro, ricordando solo vagamente le canzoni. Un’idea geniale.

Le parole dei canti e l’omelia mi hanno ricordato una volta di più quanto questa religione sia l’emblema della filosofia della sottomissione e della rassegnazione. Un trionfo di affidarsi, inginocchiarsi, dimenticarsi di sé, obliarsi, lasciarsi trasportare e stare in silenzio. Senza menzionare i pesanti doppi sensi di molti dei versi dei canti, ma qui siamo noi che ormai siamo svergognati, maliziosi e senza morale.

La cerimonia, come un piccolo involontario show, ha seguito una scaletta. All’inizio, una donna si è fermata all’uscita con un libro in mano: l’officiante si è avvicinato a lei percorrendo la pseudonavata sotto il Velux, si è avvicinato a lei e le ha posto delle domande mediante le quali le concedeva un primo ingresso nella comunità dei cristiani. Dopo un po’, colpo di scena; le ha detto qualcosa del genere: ok, sei qui fra di noi per rimanerci, ora però devi intraprendere un cammino, me devi ridà il libro e te ne devi annà. Questa gli ha ammollato il sacro testo (Bibbia o Vangelo, evidentemente), è uscita dal portone perché ancora non pienamente integrabile nella comunità ecclesiastica e io ho pensato: “Mbè? Che modi!”. Praticamente una sorta di eliminazione da un talent show. Successivamente i cresimandi sono diventati cresimati attraverso il format consueto dell’unzione dell’olio santo.

Il prete si è presentato come un ex vescovo ora in pensione. Ha parlato di come questa domenica dell’Avvento dovesse essere contraddistinta dalla gioia; il simbolo di questa rinnovata gioia è stata l’accensione di una candela che non era più viola, ma rosa, annunciando ciò con la voce che gli moriva in gola. Praticamente una gioia sfrenata. Ma poi lui ha puntualizzato: ciò che noi celebriamo è la gioia del cristiano, non la gioia effimera e volgare del consumismo, che deriva dalla messe di oggetti che compriamo, fornendoci un’impulsiva esaltazione momentanea. Questo loop infinito (loop ovviamente lo utilizzo io, al non giovane celebrante il loop potrà far venire in mente un lupo o il luppolo) finisce per impoverirci spiritualmente ma, soprattutto, non rappresenta la vera gioia: è bensì l’anticamera dell’eterna insoddisfazione. La gioia del cristiano è rivolta all’altro ed è per l’altro, non all’individualismo autocompiaciuto e all’edonismo.

Anche in un’ora della nostra vita che può sembrare da trascorrere per onor di firma può scaturire una riflessione che sarà risaputa, senza dubbio, ma decisamente aliena dal contesto in cui viviamo e non ingenua.

Purtroppo, poi dovremmo pensare a chi è l’altro a cui il vescovo pensionato e che i cristiani vogliono alludere. È un concetto relativo e ristretto, mi verrebbe da dire: sappiamo che l’inclusione predicata è distorta e rimane assolutamente solo sulla carta.

Al termine della cerimonia, il prete ha espresso un suo personale desiderio: ha detto che gli sarebbe piaciuto vedere se questi ragazzini appena tredicenni, dopo un anno, avrebbero mantenuto questa fiammella cristianamente intesa, nel senso dell’essere rivolti idealmente verso l’altro; altrimenti, il senso della cresima o “confermazione” sarebbe andato completamente perso.

Dopo la messa, al termine della cerimonia siamo andati a casa di miocuggino, che povera stella si è fatto in otto per sfamarci con un buon buffet: se semo magnati sto mondo e quest’altro, il rampollo ha ricevuto i regali della cresima, a Natale riceverà i regali di Natale, le zie hanno allungato ricche buste, le cuginette si sono incastrate su Amazon ad alimentare emissioni e a far impazzire corrieri nel caldo dicembre delle consegne.

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