CANZONI DELL’ADOLESCENZA

Vi avevo promesso che avrei parlato della canzone dell’adolescenza portata al mio saggio di canto (il MIO saggio di canto, non degli altri, mi raccomando, vedasi il post precedente) e immagino foste rimasti tutti in attesa.

Quanta nostalgia questa ranocchietta!

La canzone della mia adolescenza con cui mi sono su per giù esibito è proprio ”Niente di più” dei Lunapop.

Correva l’anno 1999. I Lunapop scatafrattavano le classifiche italiane con il loro unico e famosissimo album “…Squerez?”, che a quanto pare in bolognese stretto significa “merda”. Un coraggio da leoni questi giovani ragazzi poco più che maggiorenni, che per il loro esordio si lanciano sul mercato discografico con un album dal titolo simile. Un titolo caustico, ma l’album non lo era nient’affatto. Prevalevano le atmosfere dolci, adatte a quei giovani un po’ babbaloni di un tempo, molto sognanti, un po’ alla “Jack Frusciante è uscito dal gruppo”, per rimanere in tema bolognese. All’epeca oltretutto, per fare il paio, aveva furoreggiato una Britney ancora colma di turbamenti liceali con “…Baby one more time” (dev’esse che annavano de moda i puntini di sospensione prima della frase, ed anche questo rientra in pieno in quel mood un po’ babbalone), di conseguenza possiamo dire che il pop dell’epoca era proprio zuccheroso. Pieno di ragazzetti dalla porta accanto. Poi Brit avrà la sua evoluzione che sappiamo, Cesare si separerà dagli altri a quanto pare per questioni di palanche, pippi, danè (cit) e di lì a poco Eminem arriverà a sconvolgere i canoni. Oggi per i giovani abbiamo rapper e trapper che escono ed entrano dalle patrie galere; diciamo che sono cambiati i punti di riferimento e non esistono più le middle seasons, per completare il periodo boomer. Anche se sempre all’epoca bazzicavano, per dirne una, quei simpatici ragazzotti della domenica dei Prodigy…ma andiamo avanti.

Canzoni non di merda, non dal sapore di sangue e merda ma dal tono zuccherato, quindi. Questo è …Squerez?
Io ero a cavallo fra la terza media e la prima liceo. I Lunapop dunque furoreggiavano con 50 Special, Qualcosa di grande e Se ci sarai, tre fra i pezzi di punta dell’album. Cosa mi aspetto dal domaneeee? Io canticchiavo quelle canzoni, stando molto attento ad imitare quel fantastico azzento bolognese che Cesare tradiva nel suo cantato.
Mi districavo fra gli Offspring – che ascoltavano tutti i miei cugini e che amavo, era l’epoca di Americana – altri gruppi/cantanti e la musica italoeurodisco che si diffondeva a macchia d’olio, inculcata a forza dai miei compagni di classe, uno dei generi musicali più coatti dell’universo e che mi facevo piacere.

Poi però è arrivata in un lampo la prima superiore e sono finito a fare amicizia con una romantica ragazzina poco incline allo studio (verrà immediatamente falciata dal crudelmente selettivo liceo scientifico) e totalmente devota al culto di quest’album. Me lo registrò su musicassetta (non sono ere geologiche: solamente venticinque anni fa, coff coff cough), poi io mi comprai il cd perché…l’album mi stregò. Lei quando vide il cd ci rimase un po’ male, ma non aveva prezzo poter skippare compiutamente i pezzi, vera rivoluzione tecnologica nel campo della fruizione musicale.
Comunque: Squerez era l’album per eccellenza per un quattordicenne di quel periodo, secondo me. Specie se di provincia. Lo sentivamo tutti, anche quelli che la dolcezza di quell’album la rinnegavano per giocare ai piccoli ometti poco credibili. Anche quelle compagne di classe con gli occhialetti che suonavano il pianoforte e si dilettavano con Bach e Mozart.

Niente di più è uno dei brani dell’album, rimasto un po’ in penombra rispetto ad altri, e il pezzo di quel mio periodo perché lo associai indelebilmente ad una grossa e rovinosa crush. Era ovviamente un mio compagno di classe, figlio di un militare, catapultato nella nostra classe ad anno iniziato. Lo piazzarono con un banco in più accanto a me e alla romantica ragazzina, e ci innamorammo entrambi di lui. Lei non fu cagata nemmeno di striscio, fu malcagata, come dicono al settentrione; cagò un po’ più me ma non nel senso che qualcuno starà pensando.
Lui soffriva moltissimo questo padre severo e militaresco, e si confidava con me. Sono stato immediatamente e naturalmente friendzonato per il suo essere un eterello in evoluzione, però a quanto pare ero stato eletto a suo amichetto. Con gli altri faceva il piccolo spacconcello, come d’uso purtroppo a quell’età in cui si cerca (male) un’identità; invece, a me riservava la sua parte fragile nonché le sue paturnie, sia scolastiche (andava parecchio male e per questo il padre lo faceva sentire una nullità) che personali di vario tipo. Anche amorose. E io le raccoglievo, pure con grande pazienza.

In realtà, per far capire il livello, gli andavano dietro tante pollastrelle, ma lui si era innamorato di una irraggiungibile che lo degnava di pochi sguardi e non si concedeva. Cosa c’è di più struggente e di meraviglioso dello struggersi di un irraggiungibile che a sua volta si strugge per un’altra irraggiungibile? Secondo me niente. Specie a quell’età.
A un certo punto il padre voleva trasferirlo in una specie di accademia militare e portarlo via da quella scuola, anche perché in famiglia si parlava di un trasferimento lavorativo del padre stesso (l’ennesimo). Non si sapeva se avrebbe frequentato il secondo liceo con noi sia per i suoi magri voti, sia per questo possibile addio. Io morivo dentro. E allora immediatamente si originò quest’associazione con quel brano di Squerez.

Quello che volevo, come sempre non c’è / solo un po’ d’amore, che diventa polvere / che almeno fosse stata magica, la buttavo su di te. E io quello che volevo non l’avevo, e avrei voluto avere, e magari avessi avuto un po’ di polvere magica per convertirlo alla mia causa.

Ma in fondo fa lo stesso /in fondo quello che voglio è che tu sia contenta / vederti sorridere e niente di più. Incredibilmente, da quattordicenne immaturo, era quello che provavo. Avevo così sublimato questo sentimento che in fondo per me andava bene, basta che non se ne andasse, che fosse contento e che rimanesse mio amichetto. E niente di più. Questo brano diventò la musica di sfondo di questo non amore.


Pensare che a un certo punto si era convinto a frequentarla, quest’accademia militare. E io gli dissi che se era questo il suo desiderio, doveva lasciare la nostra scuola e senza troppi indugi doveva fare il cadetto denoantri in quell’accademia. Bastava che fosse contento, e niente di più. Lui sembrava grato dei consigli che gli davo, che non so da dove mi provenivano, visto che ero tutt’altro che maturo e non potevo certamente esserlo a quell’età. Mi sforzavo parecchio per partorire certe profondità. Ma l’unico modo per volergli bene era consigliarlo bene, perciò mi rassegnavo ad un destino che non mi faceva comodo, non potendo poi rivederlo più.


Quella canzone andò quindi di pari passo con quel tenero sentimento – perché era proprio tenero, tenerissimo – e al di là della sua alta o bassa qualità musicale segnò indelebilmente quel mio periodo. È uno di quei brani che aprono, appena iniziano le prime note, uno squarcio di vita. Non importa il genere, la notorietà del pezzo o del cantante e quanto si siano evoluti in seguito i gusti musicali.


E allora, quando mi chiesero quale canzone della mia adolescenza volessi fare, avrei potuto sceglierne tante altre. Ma scelsi questa, mi venne immediatamente in mente questa, non interessandomi molto del fatto che probabilmente sarebbe stata ritenuta una scelta cheap. Una scelta pienamente di pancia. Può essere pensata anche come un mio piccolo omaggio a Cesare Cremonini: mi sono subito affezionato all’idea di cantare un suo pezzo più maturo (Il comico) e uno giovanile (appunto, Niente di più).


E alla fine l’ho cantata piano e voce, con l’insegnante di pianoforte della scuola appassionato di ben altri musicisti che penso avrebbe voluto tagliarsi le mani piuttosto che accompagnarmi in questo pezzo. Non è che poi io l’abbia cantato poi benissimo, perché non è una canzone facile. Ma sono contento di averlo fatto. Troppo troppo potere evocativo, anche se in fondo è una canzuncella pop languida come tante. Evocava il ricordo di un sentimento meraviglioso, frustrato, non soddisfatto, o magari solo in parte per le vie traverse di una bella confidenza, ma comunque meraviglioso, perché ne ricordo soprattutto le belle sensazioni. I miei quattordici/quindici anni!


p.s. lui non finì all’accademia militare e non venne bocciato. Scavallò il secondo liceo ma divenne come gli altri, perdendo quella sensibilità che lo rendeva speciale, una tenerezza di fondo che mi aveva naturalmente attirato. Il mondo esterno con la sua volgarità e le sue idiote lusinghe lo avevano cambiato non poco, e forse era anche fisiologico. Tutto sommato avevamo sempre un buon rapporto ed ogni tanto veniva nuovamente da me per qualche paturnia, ma negli anni in definitiva ci perdemmo e mi disamorai.

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