Ma voi ricordate la vita prima dei social?

La mia prima volta con un social è stata il 6 gennaio del 2010. Me lo ricordo ancora. Facebook era esploso da un paio d’anni e si era diffusa questa sorta di socialità parallela di cui tutti parlavano. Io per quasi due anni ho resistito perché la mia mente si opponeva all’idea di questo micromondo in cui tutti si facevano i cazzi degli altri (la matrice in questo caso era chiara fin dall’inizio). La curiosità cresceva mese dopo mese.

Uno dei primi fenomeni fu l’esplosione delle cene di classe, delle rimpatriate di ogni tipo, dei vecchi-nuovi incontri e delle rievocazioni in generale. Praticamente il passato si riproponeva prepotentemente ma in maniera ordinata, tutto spalmato su una timeline. Vedevo tutta questa gente che si incontrava nuovamente con grande apparente gioia. Parenti di ogni tipo e risma riallacciavano i loro rapporti e anche quelli che si odiavano stringevano amicizia, per odiare meglio e capire cosa detestare di più. Ricordo perfettamente mia cugina, allora in rotta con la sorella del fidanzato, che decise di chiederle l’amicizia per buttare merda su ogni sillaba che postava. Amori, amici, gente odiata, persone rimosse dal passato: tutte in una linea del tempo unificata a spiegarti la loro vita e magari pure a gettare nuova luce sul passato.

Allora mi sono detto: e dai, mi iscrivo, e che sarà mai.

Marcone, ma che te ridi? Tutta colpa tua

È superfluo dire che per almeno quattro anni sono caduto nel vortice. Ho chiesto e accettato amicizie di persone che nella mia mente erano delle presenze evanescenti, ormai; ho scoperto legami ed amicizie di persone che sembravano lontane fra di loro e nella mia testa non collegavo in nessuna maniera; mi sono fatto un’idea ordinata di gruppi, gruppetti e gruppuscoli, di chi usciva con chi, di chi era fidanzato con chi, di hobby, passioni, interessi, matrimoni, partenze, scazzi, allusioni, opinioni…insomma, un’intera rete sociale mi si parava davanti tutta riunita in una piattaforma. Mi sembrava come se ormai sapessi tutto delle persone attorno a me: venivano unificate in uno schema unico in cui potevo vedere con chi uscivano, cosa pensavano, chi amavano, chi odiavano. 

Era questa per me la vera cosa sconvolgente. Nella vita di prima si sapeva di meno e si perdeva inevitabilmente (e fortunatamente?) qualcosa. Adesso rimaneva traccia di tutto, e ogni dettaglio sociale ti si parava di fronte con una naturalezza incredibile.

Però poi la mia presenza social si è diradata, è cambiata, è diventata più consapevole. Resta il fatto che è incredibile quanto ci sia un prima e dopo i social. La vita precedente era proprio differente nella percezione. Non lo dico solo io nella mia modesta condizione di uomoqualunque: voglio scomodare un libro nientedimeno che dell’editore Laterza, di Sara Bentivegna e Giovanni Boccia Artieri, dal titolo Le teorie delle comunicazioni di massa e la sfida digitale. A pagina 34 si esprime un concetto che verrà ripetuto più volte:

La sfida posta dalla realtà delle piattaforme è quindi data dalla costruzione di uno spazio pubblico di comunicazione in cui avviene una condivisione di norme e diventa visibile una negoziazione delle regole della convivenza. Le piattaforme intervengono infatti sulle relazioni sociali, sui modi e sui significati dello stare assieme, modificando i modelli comportamentali che caratterizzavano gli spazi fisici offline di tipo tradizionale della socialità, mixandoli in modo crescente con norme sociali e sociotecniche create negli ambienti online e che aprono a nuove dimensioni”.

Non ve lasciate spaventà dalla terminologia e dal frasario accademico. Non sentite di concordare, anche se parzialmente? Dal basso del mio non essere un esperto di media studies, mi sento di concordare.

Nei miei 25 anni di vita senza social, molte informazioni non si sapevano. Le persone si andavano perdendo nella nebbia del tempo: dopo certi momenti o periodi condivisi, non si sapeva più nulla di loro o si sapeva quanto bastava. L’oblio era più semplice e più tollerato. Era più difficile confrontare la propria vita con quella degli altri, anche se le pietre di paragone esistevano comunque: erano i modelli televisivi, i parenti prossimi, amici e conoscenti. Mamme, padri e zie martellavano come picchi: “Guarda quant’è bravo questo ragazzo che all’età tua vende un sacco di dischi e si è già sposato”. “Guarda Pierluca che si iscrive ad ingegneria”. “Guarda tuo cugino che si rifà il letto tutte le mattine e butta le mutande nel cesto della roba sporca”. “Lo sai che l’amico del fratello di Giangiacomo andrà a fare l’Erasmus in Svervegia? S’è messo da parte i soldi facendo il pizzettaro il sabato e la domenica!”.  Le possibilità di complessarsi c’erano lo stesso, eh. Però…

…i social ti sbattono in faccia tutto di tutti, nei minimi dettagli e in tutte le sfumature. Le persone/presenze digitali, se non si sceglie la drastica strada del blocco, continuano ad esserci. Se non si è una persona capace di tollerare invidie e frustrazioni, è un casino vero. I problemi e le manchevolezze della vita? Se non sussistono o sono trascurabili, sorgono improvvisamente, c’è sempre un neo, un’imperfezione. Se non si posta si è tristi o disperati, se si ha una qualche forma di mini-successo hai un pubblico che pende dalle labbra ma che in una giornata di luna storta può trascinare nella polvere, perché ha molti e continui elementi per esaltarti o inchiodarti.

Non parliamo delle implicazioni sulla privacy perché è un argomento tecnico (anche perché poi non sono un tecchenico). E poi resta tutto, tutto è tracciato e dalle piattaforme non sparisce nulla, potenzialmente. Pazzesco, a pensarci nella vita pre-social: c’è un’estensione delle nostre vite che è una vera e propria appendice da noi creata, ma che quasi non gestiamo più. È gettata in pasto agli altri.

Ma non trovate mostruoso che si possa sapere tutto di tutti? Una sorta di distopia che ormai più non è tale, perché ci siamo abituati. È così che va. Nella vita pre-social sarebbe stato un mix di qualcosa di molto attraente ma anche un’indebita voglia di ficcanasare. Il fatto è che il discrimine fra pubblico e privato si è pure spostato parecchio e la voglia di ficcanasare non è neanche più avvertita né tantomeno un problema. Ripeto: l’impatto per me forte e potente dei social, di Facebook, in quella lontana Befana del 2010, fu proprio questo essere messo al corrente di ogni cosa di chiunque, elemento prima precluso.

Ma non è un troppo sapere? Va bene la sete di conoscenza, la curiosità morbosa di conoscere, di frugare nella vita altrui e confrontarla con la nostra. Ci sta perché è naturale. Ma è troppo, non c’è bisogno e forse non dovremmo neanche sapere.

Ma poi come le consideriamo queste presenze/persone digitali? Per chi ha sempre vissuto nel brodo di coltura dei social, forse gli “altri” digitali sono figure reali, tangibili. Io che ho vissuto la vita di prima non riesco a considerarle così tangibili. A volte sono presenze che non riesco ad afferrare: ci sono, mi piacciono, ma sono irrimediabilmente lontane. E questo è un problema per molti, credo. Il ghosting, i blocchi, l’intolleranza, nulla di giustificabile: forse sono frutto di questo senso di distanza che permane. Personalmente non riesco a pensare che i propri contatti siano famiglia, amici o persone. Rimangono simulacri digitali, pur provando un affetto per questi simulacri, e credendo che questi simulacri vadano profondamente rispettati.

Ma poi alla fine gli amici social non sono sempre i soliti quattro amati gatti?

Non è boomeraggine o nostalgia del passato, perché sono entrambe cose stupide. Sento però di esser contento di aver vissuto la mia vita prima dei social, anche solo perché ho vissuto un mondo che era diverso (migliore o peggiore? Domanda oziosa). Di certo non so se saprei ancora viverla in quella maniera. Il giorno in cui mi sono iscritto c’è stata una vera e propria cesura, il vissuto si è modificato, questa presenza costante ha influito su di me anche se in maniera impercettibile e a poco a poco. Al punto che quasi non ho più memoria di come facessi e percepissi nella mia vita prima dei social, senza avere una seconda vita virtuale che correva parallelamente alla prima vita reale.

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